Cara Grecia

Cara Grecia,

io ti amo spassionatamente, dovresti saperlo ormai. Da quando la mia maestra di italiano mi spiegò chi fossero Ettore e Achille la mia immaginazione ha cominciato a viaggiare e ho sognato per anni studiando la tua storia, la mitologia, l’arte e la letteratura.

Fino a quando una volta, sentendo il telegiornale, vengo a sapere della crisi e delle condizioni sempre peggiori del tuo popolo. E mi vengono gli occhi lucidi e non riesco a mangiare. È stato brutto per me, che sognavo ancora il tuo splendore dei tempi antichi. Ma poi, informandomi, ho saputo che dopo Alessandro avevi chinato il capo e tra Veneziani e Turchi, Nazisti e Colonnelli, non l’avevi più rialzato.

E ora quel 2009, sei anni fa, che è stato un grave colpo per te. Una strada tutta in discesa verso il baratro, tra i piani “lacrime e sangue”, l’istituzione della troika e il dibattito sul ritorno alla Dracma, l’arrivo di Albadorata e il consenso alla vendita di cibi scaduti. Poi, dopo decenni di malgoverno, tu e il tuo popolo salutate con grandi aspettative l’arrivo di Tsipras, l’uomo nuovo in cui riponete mille speranze. In effetti, col suo governo, cerca di riportarti fuori dal baratro, chiedendo aiuto a chiunque possa dargliene.

Ma l’Europa resta impassibile, mentre qualcuno tende timidamente una mano, non comprendendo il tuo valore culturale in tutto questo, il significato storico e politico della tua presenza, la centralità di ideali di democrazia e libertà, nati dal tuo ventre.

E allora adesso, ti prego, asciuga le lacrime, pulisci il sangue incrostato e rialza il capo!

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